ANTENATI MITOLOGICI DEL DENARO: RE MIDA
Il terzo personaggio mitologico è RE MIDA
Re Mida fu sventurato pioniere della dannazione che s’annida nella mitizzazione della quantità di denaro. Era ancora nella culla che una processione di formiche salì a portargli chicchi di grano sulla bocca. Cicerone interpretò questo evento come presagio di ricchezza (l’avara e risparmiatrice formica ha il difetto di prestar malvolentieri e a differenza della cicala, è immagine di operosa parsimonia come esemplifica bene la nota fiaba di La Fontaine). Più generalmente le formiche sono simbolo di attività industriosa ma anche dell’originaria abbondanza insita nell’archetipo della Grande Madre. Re Mida in effetti fu sovrano di una mitica opulenza espressa in oro, dato che in denaro ancora non esisteva. Egli fu re dei Frigi al tempo mitico in cui Apollo con la sua cetra disputò una sfida musicale con Marsia, satiro dionisiaco, che suonava il flauto agreste di Pan. Mida era nella giuria con le Muse ma, a differenza loro, non si espresse a favore di Apollo e ne pagò le conseguenze. Il mito narra che Apollo abbia sentenziato:
“Quale fu il tuo cuore nel giudicare la musica, tali saranno i tuoi orecchi” E così al giovane re prontamente spuntarono due imbarazzanti orecchie asinine (Hyginus, 1670). Sicuramente questo lo accomuna a Lucio nelle Metamorfosi di Apuleio e a Pinocchio di Collodi e pare plausibile che il tema alluda all’ incapacità di recepire le voci interiori con il rischio di sentire senza ne ascoltare ne comprendere.
Nel mito di Re Mida ha certamente rilevanza il fatto che le forme asinine fossero attributo di Dionisio. Così questa narrazione configura il protagonista come un anti-apollineo: fu dionisiaco nelle scelte musicali, ma anche nella fondazione della città di Ancira, che dedicò al culto di Dioniso. Questo è l’aspetto fondante del mito perché si connette all’evento centrale della sua biografia, narrata da Ovidio nelle Metamorfosi.
“Un giorno il satiro Sileno si presentò a corte completamente ubriaco e Re Mida lo ospitò per cinque giorni e cinque notti e qui ascoltò le sue inebrianti storie sul regno di Atlantide. Lo fece poi riaccompagnare alla corte di Dioniso. Per ringraziarlo Dioniso gli offrì di esprimere un desiderio perché qualunque richiesta sarebbe stata soddisfatta. Come noto, Mida chiese di poter trasformare in oro tutto ciò che toccava; venne accontentato ma non senza il disgusto di Dioniso per aver sprecato una così grande opportunità. Infatti all’esaltazione di poter trasmutare tutto in oro subentrò molto presto la disperazione nel capirsi incapace di mangiare e bere. Tornò dunque da Dioniso per farsi liberare da uno stato che del bene non aveva che l’apparenza. Venne accontentato.
Nell’ingorda e impulsiva richiesta di Mida si ravvisa l’espressione di una arcaica ed elementare pulsione, quella captativa, una tendenza umana ad acquisire e a prendere per sé, che altro non è che la base ad ogni pulsione di arricchimento, di cui il denaro è oggi lo strumento più efficace.
E’ la pulsione orale di Freud, la spinta originaria a ingerire, inglobare, ingoiare il più possibile, oltre ogni limite di necessità. E’ una pulsione disinibita e non discriminante. Vuole tutto.
La tendenza all’appropriazione, ci chiarisce l’antropologia, è arcaica e innata. Presso gli Egizi il furto era lecito e impunito; presso i Germani era atto di abilità; presso i popoli Australi era imitazione degli dei; presso i Balanti dell’Africa era oggetto di insegnamento e presso i Beni-Hassan del Marocco era il mestiere più diffuso. A Sparta veniva punita la flagranza di furto perché la vera colpa era la mancanza di destrezza; presso i Galli era punito solo il furto nella città di appartenenza, così come presso gli Eschimesi la disonestà era censurata solo verso lo straniero (Lombroso, 1884).
Lo stesso Virgilio ci parla della “auri sacra fames” nel descriverci la orrida cupidigia del Re di Tracia che uccise il figlio di Priamo per derubarlo dell’oro paterno che aveva con sé. Espressione celebre ed arguta perché sacra significa tremenda e può avere carattere puro oppure orrendo così come può esserlo l’attrazione per il denaro. Questo è il libero arbitrio lasciato all’essere umano.
I commenti classici sottolineano che la storia mitica di Mida parla dell’impulso a possedere ricchezze. Contrariamente a questi però è opportuno qui sottolineare che Re Mida non rappresenta chi possiede la ricchezza bensì chi ne è posseduto. Ricco e povero allo stesso tempo, intrappolato nel desiderio compulsivo di trasformare tutto in ricchezza, fino ad impoverire del tutto la propria esistenza, perdendo la possibilità di godere della vera abbondanza e compromettendo le sue stesse funzioni vitali. Tutto ciò non richiama terribilmente la parodia dell’uomo moderno incastrato nella Civiltà del denaro come in una ruota per criceti, correndo su sé stesso senza senso?
L’uomo rapace e avido è espressione di una ricerca totalizzante che monopolizza tutto il suo interesse e la sua attività, imprigionandolo in una esistenza in una sola dimensione. Una ricerca tanto estrema e compulsiva è chiaramente guidata dall’inconscio. In questo senso egli è posseduto dall’immagine inconscia dell’oro-denaro. Il guadagno d’oro di Re Mida procede di pari passo alla sua perdita di vita e al rischio esistenziale. Se il denaro è energia psichica, questa vicenda ritrae la dimensione esistenziale in cui la libido si ripiega su sé stessa, in un movimento regressivo che compromette ferocemente la propria evoluzione, impedendo alla soggettività di sbocciare e dispiegarsi. Nella dimensione reale della quotidianità possiamo incontrare persone possedute in modo abnorme, totalmente assorbite in una ricerca spasmodica di denaro, potere e successo. Ma, ancora più subdola, è la dimensione abituale, familiare e partecipata, scambiata per normale perché collettiva, condivisa dai molti e approvata da tutti. Qui è necessario un consapevole esercizio di dis-indentificazione per permettersi un salto fuori dalla ruota del criceto o meglio ancora dal The Truman Show collettivo. Essere posseduti dal fantasma inconscio della ricchezza ma che “del bene non ha che l’apparenza”: questo il rischio della vita nella società del denaro.
Questo articolo è tratto da un elaborato dal titolo “Il denaro come strumento di Partnership” realizzato per l’Università di Udine per il conseguimento del “Master in Partnership e Sciamanesimo. Letterature, psicologia e società”, percorso che mi è stato molto utile a sviluppare un personale pensiero critico e costruttivo per lo sviluppo del mio metodo “Money Life Balance“.